INTERVENTI di Pier Giorgio Perotto

 

Quell’irresistibile follia delle reti 
MICROSOFT HA RAGGIUNTO UN VALORE DI QUASI 800 MILA MLD DI LIRE: DA NOI ENEL ED ENI SUPERANO I 50 MILA MLD
di Pier Giorgio Perotto

Home - Biografia - Rassegna - Contributi
Questo articolo è apparso su MEDIA DUEMILA numero 169 Settembre 1999

 La ”libreria” Amazon capitalizza quasi 36 mila mld, circa il 25% in più della Fiat. ”Cosa pensano di queste cifre i nostri imprenditori, banchieri e politici, ancora convinti che I’economia dei servizi e dei prodotti immateriali sia meno valida della manifattura e dei prodotti materiali?”

Fino a poco tempo fa il mondo della finanza internazionale e i cosiddetti investitori istituzionali non erano affatto inclini a innamorarsi di iniziative imprenditoriali hig-tech, fascinose si, ma non troppo redditizie, ma ora il sex appeal della rete delle reti e di tutto quanto e in odore di Internet ha contagiato questo mondo che non sembrava precisamente costituito da poeti e sognatori.

Essendo in stagione di classifiche e graduatorie aziendali, e naturale andare a vedere quanto e come sono diventati ricchi i possessori di azioni delle principali aziende mondiali, e scoprire, naturalmente, che gli azionisti della Microsoft hanno ormai battuto ogni record. Si fa questa scoperta attraverso la graduatoria costruita dalla rivista ”Business Week” delle prime 1.000 aziende del pianeta, non per fatturato (il fatturato e ancora una cosa assai faticosa da costruire, che non riesce a librarsi nei cieli più alti), ma per valore di borsa o capitalizzazione di mercato che dir si voglia, nozione che può offrire le più inebrianti sorprese. Ebbene, la Microsoft nel 1999 ha raggiunto il valore di 407,22 mld di dollari, cioè quasi 800.000 mld di lire (non è un refuso, sono proprio ottocentomila mld!) ossia 28 volte il suo fatturato, 25 volte il valore del suo capitale netto, piazzandosi per la prima volta in cima alla classifica mondiale, scalzando la primatista dell’anno precedente, la General Electric, che però continua a fatturare sette volte di più e a guadagnare quasi il doppio. Se lo stato italiano, invece di possedere ”aziendine” come Eni ed Enel che valgono la bazzecola di 50 - 60.000 mld, fosse proprietario della Microsoft, avrebbe risolto tutti i suoi e i nostri tormentoni, di stock del debito pubblico, di rapporto tra deficit e PIL, e potrebbe tranquillamente ridurre le tasse senza incorrere nelle critiche dei partner dell’Unione Europea. Dieci anni fa, sette dei primi dieci posti della classifica erano occupati da aziende giapponesi, molte delle quali dovevano il loro valore di mercato all’avere fatto il pieno, in America e in Europa, di immobili e di interi quartieri cittadini (come il Rockefeller Center di New York City).

Nel 1999 le aziende giapponesi sono sparite dai primi dieci posti, nei quali troviamo ora otto aziende americane e due inglesi. Ma questo segna non solo la riscossa delle imprese made in Usa, ma soprattutto il trionfo delle aziende ICT (Information & Communication Technology) legate più o meno alla rete delle reti. Infatti delle otto star americane ben cinque appartengono a tale settore: parliamo, oltre che della inarrivabile Microsoft, della Ibm, dell’AT&T, dell’Intel e della Cisco Systems.

Se tanti investitori che, ripeto, penso non siano tutti ingenui poeti innamorati del ciberspazio, sono disposti ancora a comprare azioni Microsoft (che tra il 98 e il 99 ha quasi raddoppiato il suo valore), questo può voler dire solamente due cose, entrambe abbastanza improbabili, almeno in termini di tradizionale razionalità: – che il valore di borsa delle azioni crescerà ancora (magari superando il PIL di Paesi come la Spagna o la Svezia!), oppure – che gli utili potranno avere un’impennata, ipotesi anch’essa assai difficile, visto che oggi sono gia al livello del 30% del fatturato. Insomma la ciberfinanza ci mette di fronte a nuovi e per ora inspiegabili valori e ad un concetto di ricchezza e di denaro che sempre più si identifica con quello di informazione. Ma queste sorprese non sono localizzate solo nei primi posti della classifica di ”Business Week”. Se andiamo un po’ più in basso scopriamo che la Amazon (che per la precisione occupa il 254esimo posto), capitalizza un valore di quasi 36.000 mld di lire, ossia circa il 25% in più dell’intero gruppo Fiat. Per una libreria, sia pure on line, non c’è male! Ma la cosa più sorprendente è che l’azienda dalla sua nascita (qualche anno fa) ad oggi non ha mai chiuso un bilancio in utile, pur regalando ai suoi fortunati azionisti un valore di mercato pari a 136 volte il suo capitale netto. Sarei veramente curioso di sapere cosa pensano di questi straordinari valori i nostri imprenditori, i nostri banchieri, e anche i nostri politici, tutti convinti che l’economia dei servizi e dei prodotti immateriali sia qualcosa di meno reale e valido della manifattura e delle produzioni materiali, e che al massimo possa aspirare ad un ruolo ancillare e di contorno rispetto al ferro e al petrolio. Siamo irrimediabilmente arretrati noi, o sono matti gli americani? Che sensazione si proverà ad essere immensamente ricchi, ma di una ricchezza talmente immateriale da non darti quasi reddito, e che, se provassi a liquidarla per trasformarla nei più classici segni del lusso e dell’opulenza, come yacht, aerei privati, ville, tenute, quadri d’autore, mobili di antiquariato, non potrebbe che crollare come un castello di carta? E’ molto difficile dare delle risposte, resta però il fatto che sono gli americani ad esportare da noi i loro nuovi valori (finanziari e culturali) e a colonizzare il resto del mondo e non noi a imporgli i nostri più antichi e consolidati. Credo comunque che nessuno possa dire se i valori di mercato delle aziende americane operanti nelle ICT, leader della nuova nascente economia digitale, si manterranno nel tempo o se si sgonfieranno come bolle di sapone. Si sa, e lo dicono personaggi che di finanza la sanno lunga come Gianni Agnelli o il mitico George Soros, la borsa non sembra seguire le logiche della razionalità e della prevedibilità. Pero un insegnamento si può trarre dalle straordinarie vicende di questo settore: ed è che c’è gente, ossia una nuova generazione di imprenditori, che crede nel progetto e nella costruzione di un nuovo mondo, laddove il verbo ”credere” non significa solo un atto di fede, ma la dedizione e l’impegno totale di tutte le proprie risorse, umane e finanziarie. E ancora, rispetto a pochi anni fa, questo nuovo mondo non e più una piccola parte emergente del tutto, ma sta assumendo una dimensione preponderante. In altre parole, le incredibili grandezze finanziarie in gioco sembrano assumere un valore simbolico, come segni di un mondo più vero e reale, che ha ora tutte le carte in regola per sostituire o inglobare quello vecchio.

D’altra parte e solo nella liberta e nella leggerezza del ciberspazio che si può ancora progettare e costruire una realtà sistemicamente razionale e coerente (così come fecero i nostri progenitori dell’ottocento e dei primi del novecento, quando crearono le grandi infrastrutture sistemiche che caratterizzarono la modernia), uscendo dai vincoli ormai opprimenti del mondo materiale e corporale, nel quale non si riesce più a vedere possibilità di sviluppo, senza arrivare alla completa distruzione di tutte le residue risorse naturali del pianeta. Cosa augurarsi o prevedere per il 2000 prossimo venturo? In materia di grande mutazione e di ciberspazio non mi riesce di essere così razionale da distinguere una fredda, scientifica previsione da un auspicabile futuro: il wishful thinking mi sembra inevitabile.

A mio avviso, dobbiamo investire molto per rendere il ciberspazio più completo, più semplice e più piacevole. Più completo, in quanto oggi siamo forse a meta di un guado, costretti a continue conversioni dal mondo delle cose a quello ancora ostico e codificato dei bit. Più semplice, perchè gli ambienti, i linguaggi, in una parola gli strumenti di comunicazione e di lavoro, sono ancora farraginosi e complicati e risentono delle limitazioni di quando le tecnologie erano deboli e costose (limitazioni che ad esempio generarono a suo tempo i problemi del Millennium Bug). Più piacevole, perchè sempre più il ciberspazio diventi popolare, allegro, conquisti masse crescenti di persone e non corra il rischio di diventare monopolio e luogo di privilegio di arcigni tecnici e scienziati, leggermente paranoici. Non sarei invece troppo preoccupato per una Microsoft (o altri epigoni futuri) troppo potenti o troppo grossi: importante e che questi creatori di standard e di linguaggi (che ho chiamato arbiter architecturarum) in un modo o nell’altro si affermino attraverso una coopcompetizione (mi scuso per il neologismo, ma ormai nel settore e quasi la norma) incruenta, e soprattutto che non siano eterni. Già da qualche anno la Sun Micro systems si è affacciata alla ribalta con il suo linguaggio Java e l’originale idea del network computer, così come si cominciano ad intravedere i missionari, come la Red Hat col sistema operativo Linux, che lottano per raccogliere proseliti di un ciberspazio libero e gratuito. Il potere della Microsoft e quindi tanto grande quanto fragile, inoltre esso e basato non sul controllo di una fetta di ricchezza materiale ben delimitata e finita (con la conseguenza di escludere altri competitori, come nei classici monopoli), ma di una ricchezza che si colloca in uno spazio infinito, nel quale chiunque può entrare ed affermarsi, con soglie di ingresso che tendono sempre più ad abbassarsi. Devo inoltre confessare che mi piace di più un mondo diviso in fette orizzontali costituite dalle grandi imprese globali operanti nelle ICT (le cui dimensioni economiche si avvicinano al PIL di intere nazioni), del mondo attuale diviso in fette verticali costituite appunto dagli stati nazionali.

A parte il fatto che questi ultimi ormai non riescono più a controllare quasi nulla se si escludono alcuni residui e assurdi privilegi, con gli enormi flussi finanziari mondiali che passano indisturbati sopra le loro teste, le prime sono meno longeve e più transeunte delle seconde e, checchè se ne dica, il loro potere si basa pur sempre sul consenso dei mercati e non sulla bruta forza militare, o sul dispotismo di ristrette oligarchie.

Mi piace particolarmente che attraverso la rete delle reti si attivi una competizione tra ”cavalieri bianchi” che lottano per l’affermazione di un linguaggio o di un ambiente che sperano vengano adottati dalla maggior parte degli umani, rinunciando a tenere segreti i frutti delle loro ricerche, anzi lottando perchè vengano conosciuti e utilizzati precocemente dal maggior numero di persone e di aziende.

Ed e una competizione nella quale sempre più di frequente essi, come profeti di un nuovo mondo, offrono a tutti gratuitamente questi apertissimi spazi, accontentandosi di vivere di quello che verrà dopo, di guadagnare coi sottoprodotti del consenso dei milioni di fedeli che avranno saputo conquistare. E poi dicono che le ideologie sono morte! Nel recente passato tutto ciò non aveva alcuna possibilità di esistere: le aziende lottavano per affermare i loro prodotti o ambienti ”proprietary”, e nessuna si sognava di investire per costruire uno spazio universale aperto ad amici e concorrenti. L’idea era quella di ottenere una elevata quota di mercato, fare profitti e basta.

Neppure mi preoccupa l’idea che una Microsoft troppo potente finisca col diventare una specie di ”Grande Fratello”. Già oggi questa azienda si trova in posizione di difesa contro gli attacchi di tutti coloro che l’accusano di abuso di posizione dominante, e non è così lontano il rischio che il governo USA ad un certo punto decida di farla a pezzettini, come già fece nel 1983 con l’A. T&T., ma soprattutto considero molto positivo il fatto che aziende come la Microsoft, con l’affermarsi del loro potere, abbiano potuto sconfiggere il rischio di una devastante Babele di linguaggi e di ambienti diversificati e incompatibili.

E poi, come abbiamo detto, il loro potere e fragile e tale resterà, come lo spropositato valore di borsa odierno dei tanti protagonisti dell’economia del ciberspazio, potere e valore soggetti agli attacchi di tanti potenziali outsider, per i quali le soglie di difesa che gli impedivano nel passato di insidiare i big si sono enormemente abbassate (e la stessa Microsoft fu una delle prime a dimostrarlo, quando era ancora un moscerino, minando il potere e gli standard di fatto imposti dalla grande Ibm).

Vorrei infine smontare un’ultima preoccupazione, espressa da molti, forse da coloro che vivono con disagio il delinearsi della grande mutazione, quella che il successo e lo sviluppo diventino appannaggio di una ristretta classe di scribi che sanno d’informatica, escludendo milioni e milioni di umani ”normali”. Le generazioni di giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro sono ormai quasi tutte ampiamente informatizzate (e comunque il processo e avviato), forse hanno succhiato col latte i rudimenti di Windows e di Internet, anche solo per il gusto di bagnare il naso ai loro sprovveduti professori sempre a mal partito col PC. Mi preoccuperei piuttosto di insegnare loro l’italiano (e volesse il cielo anche l’inglese) perchè se c’è un vincolo oggi che limita la capacità d’interazione non è certo la scarsa conoscenza delle ICT, quanto il più diffuso analfabetismo, originario o di ritorno, relativo alla antica, non tecnologica, patria, lingua italica, che rende rari e preziosi coloro che sanno buttare giù correttamente un brano scritto.

Ma tutte queste sono riflessioni solitarie di chi è curioso di un futuro che si presenta ancora misterioso, strano e anche paradossale. Per capirlo meglio e anche per cominciare a costruirlo, sarebbe interessante avviare un dialogo ed un confronto tra persone portatori di culture e interessi diversi, dialogo che ci traghetti non solo cronologicamente ma anche soprattutto culturalmente nel prossimo millennio. Non so quando in Italia, luogo dove si parla sempre all’infinito degli stessi irrisolti problemi, questo potrà avvenire, pero so che Giovannini ci sta pensando e mi conforta l’idea che Media Duemila possa avviarlo, facendo ravvivare quella fiamma di entusiasmo e di speranze che ne avevano determinata la nascita in un’epoca in cui la società dell’informazione sembrava ancora un lontano miraggio.