La
            ”libreria” Amazon capitalizza quasi
            36
            mila mld, circa il 25% in più della Fiat.
            ”Cosa
            pensano di queste cifre i nostri imprenditori, banchieri e politici,
            ancora convinti che I’economia dei servizi e dei prodotti
            immateriali sia meno valida della manifattura e dei prodotti
            materiali?” 
            Fino
            a poco tempo fa il mondo della finanza internazionale e i cosiddetti
            investitori istituzionali non erano affatto inclini a innamorarsi di
            iniziative imprenditoriali hig-tech, fascinose si, ma non troppo
            redditizie, ma ora il sex appeal della rete delle reti e di tutto
            quanto e in odore di Internet ha contagiato questo mondo che non
            sembrava precisamente costituito da poeti e sognatori.
            Essendo in
            stagione di classifiche e graduatorie aziendali, e naturale andare a
            vedere quanto e come sono diventati ricchi i possessori di azioni
            delle principali aziende mondiali, e scoprire, naturalmente, che gli
            azionisti della Microsoft hanno ormai battuto ogni record. Si fa
            questa scoperta attraverso la graduatoria costruita dalla rivista
            ”Business Week” delle prime 1.000 aziende del pianeta, non per
            fatturato (il fatturato e ancora una cosa assai faticosa da
            costruire, che non riesce a librarsi nei cieli più alti), ma per
            valore di borsa o capitalizzazione di mercato che dir si voglia,
            nozione che può offrire le più inebrianti sorprese. Ebbene, la
            Microsoft nel 1999 ha raggiunto il valore di 407,22 mld di dollari,
            cioè quasi 800.000 mld di lire (non è un refuso, sono proprio
            ottocentomila mld!) ossia 28 volte il suo fatturato, 25 volte il
            valore del suo capitale netto, piazzandosi per la prima volta in
            cima alla classifica mondiale, scalzando la primatista dell’anno
            precedente, la General Electric, che però continua a fatturare
            sette volte di più e a guadagnare quasi il doppio. Se lo stato
            italiano, invece di possedere ”aziendine” come Eni ed Enel che
            valgono la bazzecola di 50 - 60.000 mld, fosse proprietario della
            Microsoft, avrebbe risolto tutti i suoi e i nostri tormentoni, di
            stock del debito pubblico, di rapporto tra deficit e PIL, e potrebbe
            tranquillamente ridurre le
            tasse senza incorrere nelle critiche dei partner dell’Unione
            Europea. Dieci anni fa, sette dei primi dieci posti della classifica
            erano occupati da aziende giapponesi, molte delle quali dovevano il
            loro valore di mercato all’avere fatto il pieno, in America e in
            Europa, di immobili e di interi quartieri cittadini (come il
            Rockefeller Center di New York City).
            Nel
            1999 le aziende giapponesi sono sparite dai primi dieci posti, nei
            quali troviamo ora otto aziende americane e due inglesi. Ma questo
            segna non solo la riscossa delle imprese made in Usa, ma soprattutto
            il trionfo delle aziende ICT (Information & Communication
            Technology) legate più o meno alla rete delle reti. Infatti delle
            otto star americane ben cinque appartengono a tale settore:
            parliamo, oltre che della inarrivabile Microsoft, della Ibm,
            dell’AT&T, dell’Intel e della Cisco Systems. 
            Se
            tanti investitori che, ripeto, penso non siano tutti ingenui poeti
            innamorati del ciberspazio, sono disposti ancora a comprare azioni
            Microsoft (che tra il 98 e il 99 ha quasi raddoppiato il suo
            valore), questo può voler dire solamente due cose, entrambe
            abbastanza improbabili, almeno in termini di tradizionale
            razionalità: – che il valore di borsa delle azioni crescerà
            ancora (magari superando il PIL di Paesi come la Spagna o la
            Svezia!), oppure – che gli utili potranno avere un’impennata,
            ipotesi anch’essa assai difficile, visto che oggi sono gia al
            livello del 30% del fatturato. Insomma la ciberfinanza ci mette di
            fronte a nuovi e per ora inspiegabili valori e ad un concetto di
            ricchezza e di denaro che sempre più si identifica con quello di
            informazione. Ma queste sorprese non sono localizzate solo nei primi
            posti della classifica di ”Business Week”. Se andiamo un po’
            più in basso scopriamo che la Amazon (che per la precisione occupa
            il 254esimo posto), capitalizza un valore di quasi 36.000 mld di
            lire, ossia circa il 25% in più dell’intero gruppo Fiat. Per una
            libreria, sia pure on line, non c’è male! Ma la cosa più
            sorprendente è che l’azienda dalla sua nascita (qualche anno fa)
            ad oggi non ha mai chiuso un bilancio in utile, pur regalando ai
            suoi fortunati azionisti un valore di mercato pari a 136 volte il
            suo capitale netto. Sarei veramente curioso di sapere cosa pensano
            di questi straordinari valori i nostri imprenditori, i nostri
            banchieri, e anche i nostri politici, tutti convinti che
            l’economia dei servizi e dei prodotti immateriali sia qualcosa di
            meno reale e valido della manifattura e delle produzioni materiali,
            e che al massimo possa aspirare ad un ruolo ancillare e di contorno
            rispetto al ferro e al petrolio. Siamo irrimediabilmente arretrati
            noi, o sono matti gli americani? Che sensazione si proverà ad
            essere immensamente ricchi, ma di una ricchezza talmente immateriale
            da non darti quasi reddito, e che, se provassi a liquidarla per
            trasformarla nei più classici segni del lusso e dell’opulenza,
            come yacht, aerei privati, ville, tenute, quadri d’autore, mobili
            di antiquariato, non potrebbe che crollare come un castello di
            carta? E’ molto difficile dare delle risposte, resta però il
            fatto che sono gli americani ad esportare da noi i loro nuovi valori
            (finanziari e culturali) e a colonizzare il resto del mondo e non
            noi a imporgli i nostri più antichi e consolidati. Credo comunque
            che nessuno possa dire se i valori di mercato delle aziende
            americane operanti nelle ICT, leader della nuova nascente economia
            digitale, si manterranno nel tempo o se si sgonfieranno come bolle
            di sapone. Si sa, e lo dicono personaggi che di finanza la sanno
            lunga come Gianni Agnelli o il mitico George Soros, la borsa non
            sembra seguire le logiche della razionalità e della prevedibilità.
            Pero un insegnamento si può trarre dalle straordinarie vicende di
            questo settore: ed è che c’è gente, ossia una nuova generazione
            di imprenditori, che crede nel progetto e nella costruzione di un
            nuovo mondo, laddove il verbo ”credere” non significa solo un
            atto di fede, ma la dedizione e l’impegno totale di tutte le
            proprie risorse, umane e finanziarie. E ancora, rispetto a pochi
            anni fa, questo nuovo mondo non e più una piccola parte emergente
            del tutto, ma sta assumendo una dimensione preponderante. In altre
            parole, le incredibili grandezze finanziarie in gioco sembrano
            assumere un valore simbolico, come segni di un mondo più vero e
            reale, che ha ora tutte le carte in regola per sostituire o
            inglobare quello vecchio. 
            D’altra
            parte e solo nella liberta e nella leggerezza del ciberspazio che si
            può ancora progettare e costruire una realtà sistemicamente
            razionale e coerente (così come fecero i nostri progenitori
            dell’ottocento e dei primi del novecento, quando crearono le
            grandi infrastrutture sistemiche che caratterizzarono la modernia),
            uscendo dai vincoli ormai opprimenti del mondo materiale e
            corporale, nel quale non si riesce più a vedere possibilità di
            sviluppo, senza arrivare alla completa distruzione di tutte le
            residue risorse naturali del pianeta. Cosa augurarsi o prevedere per
            il 2000 prossimo venturo? In materia di grande mutazione e di
            ciberspazio non mi riesce di essere così razionale da distinguere
            una fredda, scientifica previsione da un auspicabile futuro: il
            wishful thinking mi sembra inevitabile.
            A
            mio avviso, dobbiamo investire molto per rendere il ciberspazio più
            completo, più semplice e più piacevole. Più completo, in quanto
            oggi siamo forse a meta di un guado, costretti a continue
            conversioni dal mondo delle cose a quello ancora ostico e codificato
            dei bit. Più semplice, perchè gli ambienti, i linguaggi, in una
            parola gli strumenti di comunicazione e di lavoro, sono ancora
            farraginosi e complicati e risentono delle limitazioni di quando le
            tecnologie erano deboli e costose (limitazioni che ad esempio
            generarono a suo tempo i problemi del Millennium Bug). Più
            piacevole, perchè sempre più il ciberspazio diventi popolare,
            allegro, conquisti masse crescenti di persone e non corra il rischio
            di diventare monopolio e luogo di privilegio di arcigni tecnici e
            scienziati, leggermente paranoici. Non sarei invece troppo
            preoccupato per una Microsoft (o altri epigoni futuri) troppo
            potenti o troppo grossi: importante e che questi creatori di
            standard e di linguaggi (che ho chiamato arbiter architecturarum) in
            un modo o nell’altro si affermino attraverso una coopcompetizione
            (mi scuso per il neologismo, ma ormai nel settore e quasi la norma)
            incruenta, e soprattutto che non siano eterni. Già da qualche anno
            la Sun Micro systems
            si è affacciata alla ribalta con il suo linguaggio Java e
            l’originale idea del network computer, così come si cominciano ad
            intravedere i missionari, come la Red Hat col sistema operativo
            Linux, che lottano per raccogliere proseliti di un ciberspazio
            libero e gratuito. Il potere della Microsoft e quindi tanto grande
            quanto fragile, inoltre esso e basato non sul controllo di una fetta
            di ricchezza materiale ben delimitata e finita (con la conseguenza
            di escludere altri competitori, come nei classici monopoli), ma di
            una ricchezza che si colloca in uno spazio infinito, nel quale
            chiunque può entrare ed affermarsi, con soglie di ingresso che
            tendono sempre più ad abbassarsi. Devo inoltre confessare che mi
            piace di più un mondo diviso in fette orizzontali costituite dalle
            grandi imprese globali operanti nelle ICT (le cui dimensioni
            economiche si avvicinano al PIL di intere nazioni), del mondo
            attuale diviso in fette verticali costituite appunto dagli stati
            nazionali. 
            A
            parte il fatto che questi ultimi ormai non riescono più a
            controllare quasi nulla se si escludono alcuni residui e assurdi
            privilegi, con gli enormi flussi finanziari mondiali che passano
            indisturbati sopra le loro teste, le prime sono meno longeve e più
            transeunte delle seconde e, checchè se ne dica, il loro potere si
            basa pur sempre sul consenso dei mercati e non sulla bruta forza
            militare, o sul dispotismo di ristrette oligarchie. 
            Mi
            piace particolarmente che attraverso la rete delle reti si attivi
            una competizione tra ”cavalieri bianchi” che lottano per
            l’affermazione di un linguaggio o di un ambiente che sperano
            vengano adottati dalla maggior parte degli umani, rinunciando a
            tenere segreti i frutti delle loro ricerche, anzi lottando perchè
            vengano conosciuti e utilizzati precocemente dal maggior numero di
            persone e di aziende. 
            Ed
            e una competizione nella quale sempre più di frequente essi, come
            profeti di un nuovo mondo, offrono a tutti gratuitamente questi
            apertissimi spazi, accontentandosi di vivere di quello che verrà
            dopo, di guadagnare coi sottoprodotti del consenso dei milioni di
            fedeli che avranno saputo conquistare. E poi dicono che le ideologie
            sono morte! Nel recente passato tutto ciò non aveva alcuna
            possibilità di esistere: le aziende lottavano per affermare i loro prodotti
            o ambienti ”proprietary”, e nessuna si sognava di investire per
            costruire uno spazio universale aperto ad amici e concorrenti.
            L’idea era quella di ottenere una elevata quota di mercato, fare
            profitti e basta. 
            Neppure
            mi preoccupa l’idea che una Microsoft troppo potente finisca col
            diventare una specie di ”Grande Fratello”. Già oggi questa
            azienda si trova in posizione di difesa contro gli attacchi di tutti
            coloro che l’accusano di abuso di posizione dominante, e non è
            così lontano il rischio che il governo USA ad un certo punto decida
            di farla a pezzettini, come già fece nel 1983 con l’A. T&T.,
            ma soprattutto considero molto positivo il fatto che aziende come la
            Microsoft, con l’affermarsi del loro potere, abbiano potuto
            sconfiggere il rischio di una devastante Babele di linguaggi e di
            ambienti diversificati e incompatibili. 
            E
            poi, come abbiamo detto, il loro potere e fragile e tale resterà,
            come lo spropositato valore di borsa odierno dei tanti protagonisti
            dell’economia del ciberspazio, potere e valore soggetti agli
            attacchi di tanti potenziali outsider, per i quali le soglie di
            difesa che gli impedivano nel passato di insidiare i big si sono
            enormemente abbassate (e la stessa Microsoft fu una delle prime a
            dimostrarlo, quando era ancora un moscerino, minando il potere e gli
            standard di fatto imposti dalla grande Ibm). 
            Vorrei
            infine smontare un’ultima preoccupazione, espressa da molti, forse
            da coloro che vivono con disagio
            il delinearsi della grande mutazione, quella che il successo e lo
            sviluppo diventino appannaggio di una ristretta classe di scribi che
            sanno d’informatica, escludendo milioni e milioni di umani
            ”normali”. Le generazioni di giovani che stanno entrando nel
            mondo del lavoro sono ormai quasi tutte ampiamente informatizzate (e
            comunque il processo e avviato), forse hanno succhiato col latte i
            rudimenti di Windows e di Internet, anche solo per il gusto di
            bagnare il naso ai loro sprovveduti professori sempre a mal partito
            col PC. Mi preoccuperei piuttosto di insegnare loro l’italiano (e
            volesse il cielo anche l’inglese) perchè se c’è un vincolo
            oggi che limita la capacità d’interazione non è certo la scarsa
            conoscenza delle ICT, quanto il più diffuso analfabetismo,
            originario o di ritorno, relativo alla antica, non tecnologica,
            patria, lingua italica, che rende rari e preziosi coloro che sanno
            buttare giù correttamente un brano scritto. 
            Ma
            tutte queste sono riflessioni solitarie di chi è curioso di un
            futuro che si presenta ancora misterioso, strano e anche
            paradossale. Per capirlo meglio e anche per cominciare a costruirlo,
            sarebbe interessante avviare un dialogo ed un confronto tra persone
            portatori di culture e interessi diversi, dialogo che ci traghetti
            non solo cronologicamente ma anche soprattutto culturalmente nel
            prossimo millennio. Non so quando in Italia, luogo dove si parla
            sempre all’infinito degli stessi irrisolti problemi, questo potrà
            avvenire, pero so che Giovannini ci sta pensando e mi conforta
            l’idea che Media Duemila possa avviarlo, facendo ravvivare quella
            fiamma di entusiasmo e di speranze che ne avevano determinata la
            nascita in un’epoca in cui la società dell’informazione
            sembrava ancora un lontano miraggio.